
Quando si dice che
un bambino del nord del mondo ha un peso ambientale pari a quello di 50 bambini africani messi insieme, si comprende anche la prima infanzia, dalla nascita fino ai tre anni. Lo spreco non è solo imputabile alle incredibili quantità di giocattoli e abitini ma anche e soprattutto ai pannolini monouso, fatti di cellulosa e un po’ di plastica. Solo in Italia ogni giorno se ne usano mediamente 6 milioni e mezzo di pezzi; ben 2,2 miliardi l’anno; così, l’evacuazione dei bisognini di bimbi richiede 600.000 tonnellate di pasta di legno; è come dire che ogni pupo manda in discarica l’equivalente di diversi alberi di alto fusto, prima ancora di aver imparato a leggere riviste pesanti un chilogrammo e per il 90% pubblicitarie. Confrontando i pannolini monouso con quelli lavabili per l’arco di utilizzo medio di due anni e mezzo pro infante, è stato calcolato che produrre i primi richiede una quantità di energia 3,5 volte più grande di quella necessaria per i secondi, si consumano quantità di materiali non-riutilizzabili 8 volte più grandi, si generano rifiuti solidi 60 volte superiori; e occorrono quantità di terra 4 volte più grandi di quelle necessarie per produrre i materiali naturali dei pannolini riutilizzabili. I pannolini usa e getta sono una sfida particolarmente ardua in termini di gestione dei rifiuti perché impiegano centinaia di anni per decomporsi. I pannolini di cotone lavabili detti anche «ciripà» sono molto meno costosi di quelli usa e getta e non sono più un enorme sacrificio, grazie alle innovazioni introdotte negli ultimi anni (indicazioni sul sito www.bilancidigiustizia.it, offerte dalle famiglie bilanciste con bimbi piccoli).